Stare inchiodata a Varadero aveva senso come fare il viaggio in stiva, in peschreccio con borsa di Vuitton…. quindi, con buona pace di sole e mare, mi cercai un autista, con qualcosa da raccontare lungo la strada per L’Havana. Non ricordo come lo trovai quel vecchietto, furbo e mite, che mi portò, su una vecchia baracca, verso la capitale di tanti miti. Da Varadero a L’Havana non è troppo lunga, ma basta per chiacchierare. Non ero partita con l’idea di ascoltare racconti da regime. Avevo il mio itinerario cabbalistico da seguire. D. mi aveva chiesto libri di poesie e la moneta da 3 pesos con l’effigie del Che. Ognuno ha i suoi feticci. I miei e i suoi erano tutti letterari, di Cabrera Infante in modo particolare, poi Senel Paz; Reinaldo Arenas e perfino Josè Martì. Credo che quel viaggio avrebbe tanto desiderato farlo anche lui, ma non era il momento giusto.
Lungo la strada ci siamo fermati più volte a guardare il paesaggio, osservare gli uccelli nel cielo e prendere un po’ d’aria (non fresca). Occasione per mille chiacchiere e mille domande. Tutte senza risposta. La mia curiosità su Fidel è andata sistematicamente delusa, rimpiazzata dai mitologici racconti di regime. Fidel scampato all’avvelenamento all’Hilton, che poi divenne Habana Libre, Fidel e il Papa, Fidel, Fidel, Fidel. “Ma è vero che Fidel ha diverse case e nessuno sa mai in quale alloggi, per ragioni di sicurezza?” Fidel, Fidel, Fidel….
E arrivammo al Malecon.